Ecco perché il fatturato del comparto editoriale è destinato inevitabilmente a diminuire

Dopo la presentazione del Rapporto Nielsen sull’editoria alla Buchmesse di Francoforte facciamo il punto sulla situazione del digitale in Italia e sui possibili scenari futuri

Nei giorni scorsi abbiamo analizzato i dati del Rapporto Nielsen sull’editoria italiana presentato dall’AIE a Francoforte (qui il post). In una marea di segni meno l’unico comparto che presenta il segno più è il digitale, anche se si tratta di una crescita ancora troppo piccola in termini di fatturato per essere significativa. Il mercato è in netta contrazione su tutta la linea: -4,7% il fatturato, per la prima volta nella storia dell’editoria anche il numero di titoli pubblicati scende (-4,1%).

Aumenta solo il settore digitale che è arrivato a valere il 3% del mercato trade. Quali scenari dobbiamo aspettarci per il futuro? Personalmente sono convinto che il calo globale del fatturato sia un dato destinato ad aumentare sempre di più, basta vedere cosa è successo al mercato musicale.

Ormai è assodato che per un numero sempre maggiore di lettori, soprattutto i lettori forti, l’esperienza digitale è in tutto e per tutto assimilabile a quella cartacea, se non addirittura sostitutiva. Questo fa sì che un lettore oggi può leggere gratuitamente un numero sempre maggiore di titoli in maniera perfettamente legale, a partire da tutti i classici in lingua originale o i libri per cui sono scaduti i diritti.

I conti della serva: leggere costa sempre di meno

Parliamo di lettori fortissimi, gente da 100 libri all’anno. Ipotizziamo che fino a qualche anno fa leggere 100 libri all’anno a un lettore costasse 1.500 euro, calcolando una media di 15,00 euro a titolo. Grazie a sconti, a biblioteche, a prestiti di amici e a libri a 1 euro poteva costare 1.000 euro all’anno, ma difficilmente si poteva scendere sotto questa cifra.

Questo tipo di lettori sono sempre stati lo zoccolo duro che ha fatto sopravvivere le piccole case editrici e le librerie, gente che manteneva alti i fatturati dato che mediamente si trattava di persone che compravano molti più libri di quelli che riuscivano effettivamente a leggere.

Oggi invece un lettore forte o fortissimo ha la possibilità di leggere 200 libri all’anno spendendo poco meno di 600 euro. Vediamo come. 100 titoli sono classici, testi liberi da diritti e disponibili in forma gratuita nei principali store digitali. Altri 50 titoli sono novità, acquistate però soltanto quando sono in offerta a 0,99 o a 1,99. Quindi siamo a un conto di 100 euro circa per 150 titoli. Restano altri 50 titoli, acquistati magari in cartaceo ma in edizione economica o in offerta, per una cifra complessiva di circa 600 euro.

Il nostro lettore ha quindi acquistato 200 titoli spendendo meno della metà di quanto spendeva qualche anno fa per acquistare 100 titoli. E stiamo parlando di una soglia difficilmente superabile, perché i lettori che superano i 200 titoli all’anno sono davvero pochissimi. Anzi, per quanto riguarda l’Italia stiamo parlando di fantascienza visto che secondo tutti i dati e gli studi di settore più della metà degli italiani non legge neppure un libro all’anno.

Per questo motivo il fatturato globale del comparto editoriale è destinato a diminuirei e a diventare sempre più un settore economico marginale (come del resto è già da diversi anni).

La lettura, un’esperienza unica e solitaria

La criticità della lettura inoltre è data dal fatto che leggere è un’esperienza solitaria e non cumulabile con altre esperienze, quindi c’è un limite fisiologico al numero di libri che una persona può leggere in un anno. Se mi piace la musica e non ho problemi finanziari posso acquistare una decina di canzoni al giorno e ascoltarle tutte, stiamo parlando di un’esperienza di consumo di 2 o 3 minuti. Oppure posso andare a vedere un concerto alla settimana. Se mi piace il cinema posso andare al cinema 3-4 volte alla settimana senza problemi, per non parlare dello streaming o dei canali tv on demand che mi permettono di “consumare” uni film a sera.

Di fatto non ci sono limiti oggettivi al “consumo” di prodotti culturali come la musica o il cinema, ma lo stesso potremmo dire per il teatro. In più si tratta di attività che posso condividere con altre persone o che posso effettuare mentre faccio dell’altro (ascolto musica in macchina, mentre faccio jogging, vado al cinema o a un concerto con gli amici, guardo un film mentre cucino, ecc). La lettura invece è un’esperienza solitaria, non condivisibile mentre viene effettuata e, soprattutto, che non permette altre esperienze contemporanee.

Se leggo non posso fare altro: non posso guidare, non posso fare sport, non posso socializzare con gli amici.. Al massimo posso ascoltare un po’ di musica in sottofondo. Senza dimenticare che guardare un film al cinema o assistere a un concerto dal vivo è un’esperienza non surrogabile (per questo entrambi i settori sono in crescita e non conoscono crisi). E lo stesso dicasi per games e videogames che garantiscono all’utente un’esperienza unica e coinvolgente su più livelli da un punto di vista sensoriale e multimediale.

In una società come la nostra in cui il settore terziario è sempre più avanzato le persone passano le giornate davanti a monitor di tutti i tipi, di fatto leggendo molto più di qualche anno fa. Il problema per l’industria editoriale è che se io passo la giornata a leggere a monitor mail, ordini di clienti, siti di news, blog, chat con gli amici o chiacchiere sui social network, magari alla sera non ho voglia di mettermi a leggere. Perché, di fatto, ho letto tutto il giorno anche se non ho letto libri.

La politica suicida delle offerte a 0,99 e a 1,99

Personalmente credo che le offerte di questo tipo siano molto negative per gli editori: se ogni settimana c’è un titolo di un autore importante in offerta a 0,99 o a 1,99 il lettore si abitua a comprare l’offerta e non il titolo. E così accumula titoli nel suo ereader che prima o poi leggerà, o che forse non leggerà mai, tanto c’è sempre un titolo interessante in offerta.

In questo modo l’unico che guadagna è lo store, cioè Amazon: l’idea che vendere libri in offerta a un decimo del loro valore faccia crescere il mercato è un’utopia, perché il lettore si abitua a quella soglia di prezzo che identifica con il valore di quello che sta acquistando. Molto meglio proporre un titolo a 4,99 o a 6,99 piuttosto che buttarlo via a 0,99 (e infatti mi sembra che perfino gli editori italiani se ne stiano accorgendo).

Perché una volta che il lettore si abitua a pagare 0,99 per un ebook non sarà più disposto a pagare di più, o lo farà soltanto in casi eccezionali. Certo è che se io acquisto a 1,99 un ebook che poi leggo in trenta ore ho fatto un affare da un punto di vista del rapporto costo-tempo di utilizzo, ma per l’editore è un suicidio commerciale.

Per questo motivo con LA CASE Books, editore digitale statunitense con cui collaboro ormai dal 2009, abbiamo scelto di non aderire mai a queste offerte, ma di proporre da subito un prezzo low cost per un prodotto editoriale di consumo veloce. Tempo di lettura breve e prezzo basso sono una scelta ragionata per rivolgersi a una precisa fascia di mercato. Puntiamo ai non lettori o ai lettori casuali che in Italia numericamente sono molti di più e che hanno esigenze di prodotto completamente diverse dai lettori forti.

L’impressione generale invece è che i grandi gruppi editoriali non sappiano per chi pubblicano i loro libri: sparano nel mucchio sperando di vendere, provano a seguire i trend senza capire cosa stanno facendo, hanno iniziato a presidiare il digitale perché bisogna esserci ma senza avere una strategia editoriale precisa. Si tira a campare, con il risultato che andando avanti di questo passo non si camperà più.

Il caso di aNobii e l’assenza di una strategia

Trovo emblematico il caso di aNobii. Quando Mondadori ha acquisito il social network dedicato ai libri ho pensato che si trattasse di un segnale salutare per il mercato italiano. aNobii peraltro gravava da tempo in una situazione penosa e quindi i margini per fare bene erano enormi. E invece da marzo ad oggi non è successo praticamente niente, aNobii è più o meno inutilizzabile come prima, non ci sono segnali concreti di rilancio, non si riesce ad avvertire un minimo di strategia. Un po’ di movimento sui social network, ma niente di eclatante.

Pensavo di averle viste tutte con RCS che riusciva a far fallire Splinder, la più grande piattaforma di blog italiana, proprio nell’epoca del boom mondiale dei blog (pensiamo un po’ a cosa è diventata Wordpress), ma evidentemente non è ancora detta l’ultima parola. Inizio a pensare che i grandi gruppi editoriali italiani sarebbero capaci di far fallire una pizzeria a Venezia.

Siamo nell’epoca della crisi infinita, su questo non ci sono dubbi, ma continuare a muoversi senza un minimo di strategia non aiuta di certo a migliorare le cose. Continuare a pensare che prima o poi la crisi passerà non serve a niente. Continuare a reiterare nel digitale strategie e mosse che sono state fallimentari per il cartaceo non serve a niente. Ci vuole il coraggio di cambiare a livello di management, di mandare a casa i dinosauri che dirigono questo settore in maniera fallimentare, gente che brucia risorse enormi continuando a fare danni sempre più irreparabili.

Oddio, non è certo l’unica scelta possibile. C’è sempre il piano b: estinguersi.

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