Attori USA contro Apple, colpevole di aver usato le loro voci per addestrare la sua AI. L’onda anomala dell’Intelligenza Artificiale fa paura al settore, che però sembra non averne compreso la reale portata.
Da quando Apple è entrata a piede teso nel mercato degli audiolibri letti da Intelligenze Artificiali il mondo degli addetti ai lavoro è in subbuglio (per lo meno negli USA, da noi come la solito ci si limita a ignorare il problema di cosa succederà all’atterraggio fino a quando non si arriva a toccare terra, di solito con i denti).
Questa situazione peraltro dimostra tutta la potenza mediatica di Apple dato che Google ha lanciato il suo programma di audiolibri letti da AI già a novembre 2021 senza che nessuno fiatasse. E, numeri alla mano, il peso di Play Store nel mondo dell’audio è maggiore a quello di Apple, per lo meno per quanto ho potuto constatare direttamente negli ultimi anni.
Inoltre il programma di AI di Google a oggi è più avanzato di quello utilizzato da Apple, dato che permette agli editori di sperimentare (con risultati fin qui sorprendenti) in molti più mercati. Ma Google, a differenza di Apple, ha scelto come sempre di utilizzare un basso profilo: non perde tempo a annunciare i suoi servizi, li mette sul mercato e basta (come era successo all’epoca per Google Flights, solo per fare un esempio). Poi sono gli utenti a far muovere le cose…
In futuro ascolteremo solo Intelligenze Artificiali?
Fatto sta che dopo questa mossa a sorpresa da parte di Apple il mondo dei professionisti della voce USA è andato letteralmente in panico. Comprensibile, visto che la paura è che a breve le intelligenze artificiali soppianteranno in toto (o quasi) i professionisti del settore.
Se prima si pensava che le grandi voci, quelle più riconoscibili e famose, potessero resistere, oggi con le intelligenze artificiali che imitano alla perfezione qualsiasi voce è caduta anche questa certezza. Voglio utilizzare la voce di Brad Pitt per il mio audiolibro? Compro la voce di Brad Pitt generata da un’AI e via, in pochi minuti il mio audiolibro è finito. Con tanta felicità di Brad Pitt che incassa i diritti d’autore sulla sua voce senza aver fatto nulla. E con un enorme risparmio di tempo, energie e soldi da parte dell’editore e del suo staff.
Il problema esiste ed è molto più fondato di quanto possano credere i romantici del “eh, ma il calore della voce umana e blablablabla”. Personalmente sono convinto che a breve tutto il comparto editoriale sarà investito da uno tsunami chiamato AI.
Anzi, è già investito dall’onda anomale dell’intelligenza artificiale, solo che la maggior parte degli espertoni e degli intelligentissimi del settore non se n’è minimamente resa conto, per lo meno in Italia (fattore che ovviamente depone ancora una volta a favore delle intelligenze artificiali).
Da chi imparano le AI?
Questi nuovi scenari stanno facendo emergere nuovi problemi legali, e i più attenti se ne sono già accorti. Grazie a un cavillo burocratico nei contratti, infatti, i narratori degli audiolibri pubblicati da Spotify attraverso Findaway hanno scoperto che Apple ha utilizzato le loro voci per addestrare la sua intelligenza artificiale.
Va detto che al momento Findaway, società di distribuzione acquisita da Spotify, non consente il caricamento di audiolibri letti da Intelligenze Artificiali, ma le cose potrebbero cambiare velocemente.
Google, ad esempio, consente agli editori di effettuare il download degli audiolibri creati con la sua intelligenza artificiale e di venderli su altri store. L’unico vincolo è che i titoli restino in vendita anche su Play Store allo stesso prezzo.
Nello specifico invece la clausola del contratto di Spotify dice che si dava il permesso di “utilizzare i file degli audiolibri per l’addestramento e i modelli di machine learning”. Sulla questione è stato coinvolto anche il sindacato degli attori USA, il SAG-AFTRA, che ha annunciato che per il momento l’attività di apprendimento è stata interrotta.
Un finto problema
Personalmente credo che chi sta protestando non si sia reso conto della portata del cambiamento epocale che stiamo vivendo. Nessuno, ad esempio, può vietare a Apple, Google o qualsiasi altro big player del settore di acquistare legalmente tutti gli audiolibri pubblicati sul mercato e di utilizzarli poi per migliorare la propria AI.
Il sindacato degli attori USA invece ragiona ancora in termini di “facciamoci pagare per questa cosa”, come se insegnare all’AI potesse essere una fonte di reddito duratura e non di un semplice chip.
L’AI, proprio come le persone, impara da tutto quello che viene pubblicato, sia che si parli di audio che di immagini, testi o grafica. Impedire al’AI di utilizzare un contenuto per apprendere è legalmente impossibile (per lo meno per ora), è come se un autore vietasse a un altro autore di trarre ispirazione da una sua opera, o di studiare le sue tecniche.
O, nel nostro caso, è come se i narratori di audiolibri inserissero una clausola che impedisse a chiunque voglia fare il narratore di audiobook di studiare sui loro audiolibri.
Nel campo del fumetto e dell’illustrazione ad esempio il problema è già stato sollevato, ma stiamo parlando di un settore enormemente più strutturato e compatto di quello dell’audio parlato (sì perché il problema investirà tutto il mondo dell’audio parlato, mondo di cui gli audiolibri sono una piccola parte).
L’AI impara e il legislatore dorme
Certo, mi rendo conto delle implicazioni profondo (quasi filosofiche) di questa affermazione, ma finché l’AI non sarà legalmente normata in maniera uniforme a livello internazionale non ci sono molte alternative. Ma l’esperienza insegna che il legislatore si accorge di situazioni del genere quando la realtà è già andata avanti anni luce, quindi non nutro grande ottimismo di un intervento politico in grado di normare il sistema.
Negli ultimi decenni ogni volta che la politica è intervenuta (spesso male) su questioni del genere i buoi non solo erano già scappati dal recinto, ma erano anche già stati mangiati e digeriti.
L’ha ripubblicato su Zona San Siro Picture Show.