L’AIE esulta per l’approvazione del Digital Markets Act (DMA) e del Digital Services Act (DSA) ma, forse, gli editori hanno la memoria corta.
Leggo su Bookblister che l’AIE è molto soddisfatto perché il Parlamento Europeo ha approvato il Digital Markets Act (DMA) e il Digital Services Act (DSA), due provvedimenti che mirano a evitare l’abuso di posizione dominante delle big company nel mercato digitale.
Per quanto riguarda il libro questo significa che ci sarà
- l’obbligo di condivisione dei dati di vendita con i propri “business users” (nel caso di Amazon gli editori);
- il divieto di favorire propri contenuti/prodotti in vendita sulla piattaforma rispetto a quelli di soggetti terzi che utilizzano la piattaforma come market place;
- il divieto di applicare la “Most-Favoured-Nation clause”, cioè la clausola che obbliga ogni soggetto terzo a offrire alla piattaforma le condizioni migliori rispetto ai concorrenti.
E poi ci saranno una serie di nuovi obblighi legati alla possibilità degli utenti di leggere gli ebook acquistati su ogni dispositivo, anche in quelli di marca diversa rispetto ai portali di acquisto (ovvero se compro un ebook su Kobo dovrei poterlo leggere su Kindle e viceversa).
Ma di che numeri stiamo parlando?
Al di là della retorica stucchevole dei colossi che uccidono i piccoli editori illuminati portata avanti dall’AIE, vorrei provare a capire di che “dati” stiamo parlando. Non possono essere quelli delle vendite, perché ogni editore conosce in tempo reale quante e quali copie vende su Amazon, in che formato e che Paese.
Anzi, è più facile conoscere con maggiore precisione i numeri delle vendite su Amazon rispetto a quelli nelle librerie di catena (di proprietà dei grandi gruppi editoriali, peraltro), per non parlare poi di quelli venduti nelle librerie indipendenti.
Quindi già adesso l’AIE potrebbe sapere perfettamente tutti i numeri delle vendite di Amazon, basterebbe chiedere il numero dettagliato ai suoi soci.
Restano fuori da questo computo tutti i titoli autopubblicati con Kindle Direct Publishing e quelli pubblicati dai vari imprinting di Amazon, ma sono molto probabilmente numeri poco significativi all’interno del mercato (per ora).
Quindi quali sono questi “dati”? Quelli relativi agli utenti? Ma, allora, mi domano se Mondadori, Feltrinelli, Ubik, Giunti al Punto, il Libraccio e tutte le altre catene di librerie italiane abbiano mai condiviso questi dati. Le librerie di catena, giusto per fare un esempio, condividono con gli altri “business users” i dati delle loro carte fedeltà? Non so perché ma ho il sospetto di no…
Più concorrenza per tutti o stiamo dando una rinfrescatina di bianco ai sepolcri?
Si dovrebbe dunque parlare di come si comportano gli editori nelle loro librerie di catena: Mondadori, Giunti o Feltrinelli privilegiano i loro titoli quando devono fare delle scelte commerciali? Come la mettiamo col fatto che ormai gli spazi in tutte le vetrine delle librerie di catena sono a pagamento?
Vogliamo davvero aprire il discorso sulla distribuzione nel mondo del libro? Distribuzione in mano ai principali gruppi editoriali (quelli che hanno anche le librerie, sempre quelli) e che condiziona il mercato in maniera asfissiante? No, meglio di no.
Non so perché ma ho l’impressione che gli editori siano insofferenti a una serie di comportamenti di Amazon non tanto perché questi comportamenti siano sbagliati, ma soltanto perché il colosso creato da Bezos è riuscito a a ottenere un maggior profitto digitalizzando comportamenti e abitudini che gli editori hanno sempre messo in pratica (e che continuano a mettere in pratica).
Per semplificare e banalizzare mi sembra che l’atteggiamento sia questo: se Amazon pubblica libri e allo stesso tempo li vende allora è un criminale che attenta alla libertà del mercato, se Mondadori, Giunti o Feltrinelli pubblicano libri e sono anche proprietari di catene di librerie allora “è il mercato bellezza”, non possiamo farci niente.