Perché in Italia si continua a parlare di fondi all’editoria? Fa discutere la proposta di una tassa dello 0.1% per finanziare le coop giornalistiche.
Non riesco a capire per quale motivo in Italia si continui a parlare di finanziamenti pubblici all’editoria. O meglio, lo capisco ma resto comunque allibito.
Stiamo parlando di un settore che ormai da anni, soprattutto a livello locale, vive solo ed esclusivamente di fondi pubblici o di veri e propri servizi giornalistici a pagamento (alla faccia dell’Ordine dei giornalisti e della deontologia).
Il concetto stesso di “mercato” per l’editoria italiana è sempre più sfumato, sempre più annegato tra migliaia di sfumature di grigio.
Ciclicamente salta fuori qualcuno che propone il taglio dei finanziamenti pubblici all’editoria, fa un po’ di rumore, ma poi tutto torna sotto controllo (sul sito del Governo potete scaricare i finanziamenti all’editoria elargiti dal 2003 al 2014). L’ultimo a provarci in ordine di tempo è stato il Movimento 5 Stelle ma poi tutto è stato bloccato.
Arriva il prelievo dello 0,1%?
La novità del momento è l’idea di Annalisa Pannarale, deputata di SEL, che ha presentato un nuovo testo del suo emendamento alla delega che riforma il Fondo per l’editoria che prevede che le concessionarie pubblicitarie e i centri media vengano sottoposte ad un prelievo dello 0,1% del loro fatturato da destinare alle cooperative giornalistiche.
Una sorta di esproprio pubblico per finanziare soggetti privati che, nei sogni perversi della Pannarale, vedrebbe coinvolti non solo i centri media e le grandi concessionarie, ma anche soggetti come Google, Apple o Amazon.
Per l’ennesima volta si tenta di rianimare un morto che si chiama carta stampata ai danni dell’online. Un po’ come se si pretendesse di prelevare lo 0,1% del fatturato delle grandi compagnie telefoniche per finanziare le società che producono le cabine del telefono.
Con il paradosso che da tempo ormai a tenere in vita il mondo editoriale è la pubblicità, non certo viceversa, quindi assisteremmo alla situazione ridicola per cui un soggetto privato è obbligato a cedere una parte del suo fatturato ad aziende che lui stesso contribuisce a tenere in piedi direttamente, dato che oggi la maggior parte dei soggetti editoriali sono semplici contenitori di pubblicità.
Nella maggior parte dei casi poi il contenuto editoriale è pesantemente subordinato al contento pubblicitario (e poi ci si domanda perché l’editoria è in crisi), mentre leggo in giro deliri in cui si parla della pubblicità che vive e prospera grazie ai contenuti editoriali.
Non a casao Lele Panzeri, uno dei più grandi pubblicitari italiani, ha commentato su Lettera43 la proposta con un “mi sembra una cazzata”. Ecco, sembra una cazzata anche a me.
A sentire l’On. Pannarale questa sarebbe “L’unica fonte per finanziare il fondo per il pluralismo”, ma ancora una volta non si capisce che in questo modo si finanzia il niente. Qui si tratta semplicemente di distribuire del denaro per mantenere il consenso.
Se un giornale non viene letto da nessuno, se una Tv non viene guardata da nessuno o se una radio non viene ascoltata da nessuno tu non stai preservando il pluralismo, stai semplicemente mantenendo in vita dei cadaveri autoreferenziali che non servono a niente.
Il mondo è cambiato, fatevene una ragione.
I milioni di euro che ogni anno vengono buttati nel cesso per pagare consenso tramite posti di lavoro potrebbero diventare una boccata di ossigeno per migliaia di imprese innovative che operano proprio nel settore editoriale.
Continuare a parlare di fondi pubblici all’editoria significa continuare a parlare di videoteche, di drive-in, di venditori di ghiaccio, di calessi.
Significa non voler accettare che il mondo è cambiato e non ha più senso ripetere la parola “crisi”: la scoperta dell’America non ha messo in “crisi” Venezia, ha radicalmente stravolto il concetto stesso di Venezia. Gutenberg non ha messo in crisi gli amanuensi, li ha estinti.
Gentile signor Brunoro,
Suo affezionato e assiduo lettore, trovo i Suoi articoli interessanti e ben informati. Tuttavia, in riferimento al Suo “ Perché in Italia si continua a parlare di fondi all’editoria? Fa discutere la proposta di una tassa dello 0.1% per finanziare le coop giornalistiche”, vorrei fare un po’ di chiarezza e riportare le informazioni da lei fornite nell’alveo della correttezza e della rispondenza al vero.
1) Lei scrive: “ Per l’ennesima volta si tenta di rianimare un morto che si chiama carta stampata ai danni dell’online.”
E’ vero, si può discutere lo stato di salute della carta stampata, tuttavia Lei stesso osserva nel suo articolo “Editoria, tutti parlano di digitale ma i guadagni arrivano soltanto dalla carta” (15 luglio 2015, questa testata) che
“Il dato più eclatante è quello relativo ai paesi più sviluppati digitalmente, ovvero gli Stati Uniti e la Gran Bretagna: anche in questi due mercati il digitale nel 2020 rappresenterà rispettivamente il 42% e il 37% del fatturato del comparto editoriale, con la carta che giocherà ancora un ruolo determinante.”
Dunque è morta o non è morta? Veda lei. Ma torniamo alla legge delega.
E’ falso che si incentiva la carta stampata, come lei sostiene. Infatti: con riferimento ai requisiti per accedere ai contributi, l’Art. 2, comma 2, lettera d) sub 3) recita:
“ edizione in formato digitale dinamico e multimediale della testata per la quale si richiede il contributo, anche eventualmente in parallelo con l’edizione in formato cartaceo”.
E oltre, alla lettera h):
“ introduzione di incentivi agli investimenti in innovazione digitale dinamica e multimediale, anche attraverso la previsione di modalità volte a favorire investimenti strutturali in piattaforme digitali avanzate…”
2) Lei scrive: “I milioni di euro che ogni anno vengono buttati nel cesso per pagare consenso tramite posti di lavoro potrebbero diventare una boccata di ossigeno per migliaia di imprese innovative che operano proprio nel settore editoriale.”
A parte il fatto che non vedo contraddizione tra incentivare le imprese innovative e far crescere i posti di lavoro, anzi. Tuttavia, anche di questo si potrebbe discutere. Ma resta, a proposito di imprese innovative, che è FALSO che i milioni sarebbero destinati al luogo da Lei elegantemente indicato. Infatti, la delega prevede:
l’” assegnazione di finanziamenti a progetti innovativi presentati da imprese editoriali di nuova costituzione, mediante bandi indetti annualmente.” Art. 2, comma 2, lettera d) sub 3) lettera i).
e oltre, alla lettera m) “incentivazione fiscale degli investimenti pubblicitari incrementali su quotidiani e periodici, riconoscendo un particolare beneficio agli inserzionisti di micro, piccola o media dimensione e alle start up innovative.”
3) Infine, Lei scrive: “A sentire l’On. Pannarale questa sarebbe “L’unica fonte per finanziare il fondo per il pluralismo” “. Anche qui, l’informazione da Lei fornita è, banalmente, FALSA. Infatti:
Articolo 2, comma 2:
“Al Fondo affluiscono annualmente:
a) le risorse statali destinate alle diverse forme di sostegno all’editoria quotidiana e periodica anche digitale, comprese le risorse del Fondo straordinario per gli interventi di sostegno all’editoria di cui all’articolo 1, comma 261, della legge 27 dicembre 2013, n. 147; b) le risorse statali destinate all’emittenza radiofonica e televisiva in ambito locale, comprese quelle iscritte nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico;
c) una quota, fino ad un importo massimo di 100 milioni di euro in ragione d’anno, delle eventuali maggiori entrate versate a titolo di canone di abbonamento alla televisione di cui all’articolo 1, comma 160, primo periodo della legge 28 dicembre 2015, n. 208;
d) le somme versate a titolo di sanzioni amministrative comminate dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ai sensi dell’articolo 51, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177;
e) le somme derivanti dal gettito annuale di un contributo di solidarietà nel settore dell’informazione (…)”
La ringrazio per l’attenzione e La saluto cordialmente.
Marco Fiorile
Caro Marco, innanzitutto grazie mille per il commento.
Per quanto riguarda il “morto” è chiaro che il mio è un linguaggio volutamente provocatorio, quello che mi preme sottolineare è che tutti gli sforzi finora sono stati conservativi nei confronti di un settore che ha sempre meno futuro. Provo a fare un esempio calcistico: è come se la Roma facesse di tutto per rinnovare il contratto a Totti che ha 39 anni distraendo in questo modo fondi al settore giovanile. L’esempio peraltro dimostra come questi comportamenti siano abbastanza classici di ogni settore. Quando parlo di “morto” che parla inoltre voglio sottolineare come per anni in Italia il comparto editoriale abbia vissuto con logiche altre rispetto al mercato, cosa che peraltro accade ancora oggi (e non soltanto in editoria).
Per quanto riguarda gli incentivi alla carta stampata la sua precisazione è corretta, anche se poi a conti fatti a beneficiare dei finanziamenti pubblici in Italia sono sempre i soliti noti (che potremmo identificare con “carta stampata” ma che all’atto pratico sono i grandi gruppi editoriali o gli apparati editoriali di partito). La mia è un’interpretazione personale e pessimistica fondata sull’esperienza e sulla realtà, la sua è invece una visione molto ottimistica. Probabilmente soltanto dopo che tutti i finanziamenti saranno stanziati capiremo chi di noi due ha avuto ragione.
Incentivare le imprese innovative significa far crescere i posti di lavoro, su questo siamo d’accordo e non capisco la sua obiezione, o forse sono stato poco chiaro io nel senso che io mi riferivo a posti di lavoro “finti”, ovvero posti di lavoro che prosperano soltanto grazie a finanziamenti pubblici. Oggi i vertici dei grandi gruppi editoriali, per non parlare dei quotidiani e della “carta stampata” in generale, godono di stipendi privi di alcun senso rispetto alla redditività delle relative aziende (basti vedere i conti di RCS in questi ultimi anni…).
Per quanto riguarda la citazione dell’On. Pannarale mi sono limitato a riportare un suo virgolettato (qui trova la fonte: http://www.lettera43.it/economia/media/fondi-all-editoria-sulla-tassa-e-rivolta-dei-pubblicitari_43675235454.htm). Credo che l’on. parli di “unica fonte” perché sa bene che i fondi attualmente stanziati sono regolarmente ad appannaggio dei soliti noti e quindi questa nuova norma dovrebbe tutelare i più piccoli, cosa di cui però dubito moltissimo. Ma più in generale dubito che il finanziamento pubblico sia salutare all’editoria, anzi sono convinto che sia un vero e proprio cancro.
E grazie ancora per le precisazioni e per la piacevole discussione.